COVID-19 – Effetti sui Contratti in corso di esecuzione
Le calamità naturali e le epidemie sono da sempre, insieme al c.d. factum principis, un limite oggettivo alla forza programmatica dell’autonomia contrattuale. Più grossolanamente: il vincolo contrattuale può essere sciolto in presenza di eventi eccezionali e non prevedibili, né previsti. E dovendosi ascrivere l’emergenza in corso provocata dal virus Covid 19 fra tali eventi eccezionali ed imprevedibili, ci si interroga sulla sorte dei contratti in corso di esecuzione.
Chiariamo subito che i rimedi oggi invocati per contenere le conseguenze negative di Covid 19 non coincidono con quelli previsti dal codice civile per i c.d. contratti istantanei, quelli cioè che producono i loro effetti quando si perfezionano, il cui prototipo è la compravendita. Ebbene, è proprio a tal proposito che la disciplina del nostro codice civile mostra le corde: la compravendita ha notoriamente rappresentato il riferimento della parte generale del contratto, con la conseguenza che essa è pensata per offrire rimedi più ad una tale tipologia di contratti che a quelli ad esecuzione continuata.
Ed infatti: da un lato l’impossibilità sopravvenuta (art. 1218 ss. c.c.) è causa di estinzione dell’obbligazione; dall’altro, tanto l’impossibilità sopravvenuta (art. 1463 ss. c.c.) che l’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 ss. c.c.) sono cause di risoluzione del contratto. Come si vede si tratta di rimedi demolitori, che mal si attagliano alle esigenze che emergono in questa fase di emergenza Covid 19, invece maggiormente orientate verso rimedi temporanei in attesa che la normale dinamica dei mercati sia ripristinata.
In un tale quadro generale vi sono tuttavia alcune disposizioni, anch’esse di carattere generale, che possono condurre ad una soluzione positiva dei conflitti che già si stanno originando per via dell’emergenza in corso.
Un primo piano di osservazione riguarda la possibilità di individuare un precetto normativo capace di vincolare le parti di un contratto in corso di esecuzione a rinegoziare le rispettive posizioni in ragione delle circostanze sopravvenute ed imprevedibili. Sul punto, coerentemente agli approdi interpretativi più recenti ed avveduti, sembra che la fonte di tale obbligo sia rinvenibile nelle clausole generali di buona fede e correttezza (art. 1175 e 1375 c.c.). Altra questione, che dipenderà dal caso concreto, è quella riguardante i presupposti di un tale obbligo di rinegoziazione e la ragionevole ampiezza della corrispondente pretesa. Né sembra che ci siano alternative quando nel singolo regolamento contrattuale non vi siano previsioni per un tale tipo di eventualità (peraltro piuttosto standard nella contrattazione internazionale a mo’ di “force majeure clause”).
Il secondo aspetto riguarda la sorte della posizione di chi, dovendo ricevere la prestazione, subisca un ritardo, in ipotesi giustificato dall’emergenza; in tali casi sembra che la risposta dell’ordinamento sia puntuale e risieda nella generale previsione dell’art. 1460 c.c. a mente della quale chi subisce l’inadempimento può sospendere l’esecuzione su di lui incombente, purché naturalmente il rifiuto di esecuzione sia conforme a buona fede, dandosi luogo per tal via ad una forma generale di sospensione degli effetti del contratto, posto che anche il solo ritardo, sebbene giustificato, potrebbe temporaneamente svuotare di contenuto l’interesse della controparte.